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DECIMA FLOTTIGLIA M.A.S.: propaganda per la riscossa (IX parte) – Gianluca Padovan

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«Quando solo il ricordo resterà a tener viva la realtà molteplice e profonda di questa guerra, tutti dovranno riconoscere che in un’Italia disorientata noi rappresentammo un indirizzo; che fummo, in un paese disunito, una forza che sapemmo, in un popolo senza più decisione, volere ed agire; e che avemmo, in una nazione senza scopi, un ideale e una bandiera. Qui stanno, per tutti i marinai della X, i motivi della loro esistenza»

Reparto Stampa Flottiglia Xa M.A.S., Noi, della «Decima», 1944

      La calda estate del 1943 volge al termine...

Nelle puntate precedenti abbiamo visto l’invasione dell’Italia da parte degli angloamericani e l’ammucchiarsi delle tessere del P.N.F. e della M.V.S.N. negli angoli bui di qualche vicolo.

Ma in molti si preparano a dare l’assalto al potere e prendere possesso di Roma per trarre il massimo profitto dalla torbida situazione italiana architettata “ad arte”.

Ricorda Giorgio Pisanò a proposito dell’operato del Generale Giacomo Carboni e dell’appoggio da parte del Ministro della Guerra Antonio Sorice: «I primi contatti con i capi del PCI ebbero luogo alla fine di agosto e si concretizzarono ai primi di settembre. Per conto del PCI parteciparono agli incontri, che si tennero nella sede del Servizio informazioni militari, Luigi Longo, Giuseppe Di Vittorio e Antonello Trombadori. Nel corso di questi contatti il piano di Carboni acquistò forma e sostanza» (Giorgio Pisanò, Storia della Guerra Civile in Italia (1943-1945), Vol. I, Edizioni FPE, Milano 1966, p. 50).

Nell’agosto del 1943 Badoglio nomina Giacomo Carboni (Reggio Emilia 1889 – Roma 1973) Commissario straordinario del S.I.M. (Servizio Informazioni Militari), il cui compito è anche di occuparsi di organizzare la difesa di Roma in caso di occupazione da parte delle truppe tedesche.

Inoltre, in previsione di attaccare i Tedeschi presenti nella Capitale: «Carboni aveva pensato di costituire delle squadre d’assalto, formate di comunisti, alle quali affidare il compito di attaccare, qualche ora prima dell’annuncio di resa, gli alberghi e gli edifici che ospitavano i tedeschi. L’attacco avrebbe dovuto svilupparsi nelle prime ore del mattino. Il segnale sarebbe stato dato dalla distruzione di tre alberghi, che squadre di genieri dell’8° Reggimento avrebbero minato nelle fondamenta durante la notte dopo essersi avvicinati agli obiettivi percorrendo le fogne. Perché il generale ritenne che squadre di comunisti fossero più indicate dei soldati e dei carabinieri in imprese del genere? La risposta è semplice: perché nelle file delle forze armate non era facile reperire degli individui pronti ad azioni che richiedevano la soppressione fredda e spietata di altri esseri umani. E l’attacco ai tedeschi doveva concludersi in una carneficina tale da stroncare di colpo ogni possibilità di azione germanica nella capitale. I comunisti, come è logico, accettarono subito la proposta di Carboni» (Ibidem, p. 51).

L’accordo è stabilito il 4 settembre, ma all’ultimo momento le azioni furono ben altre.  

La sera, sempre a Roma, il Generale Giacomo Carboni consegna a un gruppo di partigiani, tra cui figurano Luigi Longo, Adriano Ossicini e Antonello Trombadori, due camion dell’Esercito Italiano carichi di armi e munizioni. Per quanto riguarda Carboni: «Mentre Bergamini va a fondo con la sua nave e i suoi uomini [affondamento della corazzata Roma. N.d.A.], a Roma Giacomo Carboni, commissario straordinario del Sim, si presenta in ufficio e vuota la cassaforte. Nove giorni prima Cesare Amé gli aveva passato le consegne e stilato un verbale dal quale risultava che in cassa c’era 1.980.893,95 lire in contanti, 7.500.000 di lire in vaglia bancari, valuta estera e monete d’oro per 2.828.369,30 lire. Sono cifre del 1943! Tutto sparito. Insieme a Carboni, volatilizzato. Nei giorni della catastrofe c’era chi cercava di salvare la dignità, chi scappava e chi tirava al quattrino. Il generale dell’Esercito Italiano Giacomo Carboni coniugava le ultime due categorie: scappava con i quattrini. Dopo la guerra, sulla sparizione della cassa del Sim venne condotta un’inchiesta affidata al generale Pietro Maravigna di cui non si è saputo mai niente. Chi ha cercato il fascicolo nell’archivio della Difesa non lo ha trovato» (Carlo De Riso, Roberto Fabiani, La Flotta tradita. La Marina italiana nella Seconda Guerra Mondiale, De Donato-Lerici Editori, Roma 2002, p. 240).

    I “tre moschettieri”. Chi sono i beneficiari delle “attenzioni” del Generale Giacomo Carboni? - Luigi Longo (Fubine 1900 – Roma 1980), in gioventù aderisce al P.C.I. e partecipa alla Guerra di Spagna militando nelle Brigate Internazionali. Dopo l’8 settembre entra nelle Brigate Garibaldi; alla morte di Palmiro Togliatti diviene Segretario Generale del Partito Comunista Italiano. - Adriano Ossicini (Roma 1920), è figlio di Cesare Ossicini, dirigente dell’Azione Cattolica e fondatore del Partito Popolare Italiano. Durante la Seconda Guerra Mondiale si avvicina al P.C.I. e assieme ad Amedeo Coccia e Lombardo Radice fonda il giornale Pugno Chiuso, clandestino. - Antonello Trombadori (Roma 1917 – Roma 1993), tra il 1937 e il 1940 partecipa ai Littoriali della Cultura e dell’Arte. Durante la guerra s’iscrive al P.C.I., costituisce a Roma i G.A.P. (Gruppi d’Azione Patriottica); rimane nel P.C.I. fino al 1983, avvicinandosi poi al P.S.I. di Bettino Craxi.     7 settembre 1943.

Se il giorno 8 settembre 1943 la resa incondizionata del regno d’Italia agli angloamericani è prima annunciata a Radio Algeri dal generale statunitense Dwight David Eisenhower e poi all’E.I.A.R. (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) dal maresciallo Pietro Badoglio, che cosa succede il giorno prima?

Apparentemente poco!

Il 7 settembre gli ufficiali statunitensi Generale Maxwell Davenport Taylor e il Colonnello William Tudor Gardiner, incaricati di esigere che l’armistizio venga annunciato per il giorno seguente, sono accolti a Roma dal Maggiore Luigi Marchesi e dal Colonnello Giorgio Salvi, questi alle dipendenze del Generale Giacomo Carboni. Nelle ore successive incontrano anche Carboni e Badoglio.

Ma la Storia non si esaurisce in questi pochi ultimi fatti, che sono semplicemente i più evidenti.

Per quanto riguarda i comandi angloamericani essi «decidono di non comunicare al generale italiano la data in cui l’armistizio verrà reso noto, né quella dello sbarco dei paracadutisti americani in difesa della capitale (operazione Giant2). Castellano però, in una lettera, comunica al generale Ambrosio che il generale Smith gli ha fatto capire che lo sbarco alleato avverrà tra il 10 e il 15 settembre, probabilmente il 12. Badoglio ed Ambrosio, convinti di avere ancora alcuni giorni a disposizione, si preoccupano per prima cosa di mettere in salvo parenti e beni [la figlia e la nuora di Badoglio sono a Losanna il giorno 7. N.d.A.] e, la sera del 7 settembre, quando giungono segretamente a Roma il generale Taylor e il colonnello Gardiner per comunicare che l’operazione avrà luogo la notte tra l’8 e il 9 settembre e prende accordi, il Maresciallo d’Italia non ha ancora predisposto alcun tipo di difesa. Badoglio, preso dal panico, invia un telegramma ad Eisenhower in cui afferma che non è più possibile accettare l’armistizio immediato e chiede un nuovo incontro. Eisenhower rifiuta, e l’intempestivo messaggio ha solo l’effetto di annullare l’operazione Giant2 l’8 settembre, mentre Badoglio rassicura l’ambasciatore tedesco Rahn che l’Italia continuerà la guerra accanto la Germania» (Solange Manfredi, Psyops. 70 anni di guerra psicologica in Italia, come ci hanno manipolato messi l’uno contro l’altro mandato in guerra terrorizzato per controllarci meglio, Solange Manfredi, 2014, p. 116). (1)

  Il calcolato “scompiglio”.

L’annuncio dell’armistizio sorprende, come più volte accennato, ogni reparto del Regio Esercito Italiano operante tanto in patria quanto all’estero, lasciando ufficiali e soldati privi d’ogni ordine militare e specifici piani anche nei giorni seguenti.

Al chiaro e comprensibile plauso dei civili per la presunta cessazione delle ostilità fa seguito la presa di coscienza: comunque è in corso una guerra mondiale e l’Italia è già stata invasa dall’esercito angloamericano.

Dal Re d’Italia, al Capo del Governo Italiano e al Comando Supremo Italiano, nessuno di costoro si assume la responsabilità, o meglio il dovere, di diramare specifici ordini, circostanziate disposizioni né ai militari né tantomeno alla popolazione civile. In pratica nessuno spiega come ci si debba comportare, innanzitutto, nei confronti di nemici e alleati, o ex nemici ed ex alleati.

A proposito della sera dell’8 settembre Sergio Nesi ha scritto che Borghese ha chiesto all’ammiraglio Aimone, già duca di Spoleto, duca d’Aosta e cugino del Re, di essere ricevuto con urgenza. Costui dichiara di non sapere alcunché dell’armistizio: «Tra il duca d’Aosta, gli ufficiali che erano accorsi accanto a lui e il Comandante Borghese si intavolò allora una discussione sul da farsi. Mentre venivano fatte proposte del tutto empiriche e fantasiose, testimonianti il generale disorientamento, il Comandante Borghese fu pragmatico: “Armistizio significa che la guerra è momentaneamente sospesa. Può ricominciare o venire la pace. In ogni caso, il nostro solo e preciso dovere consiste nel restare con le armi al piede”. Il duca approvò in pieno. Poi ci pensò un attimo per poi esporre un suo fulmineo “distinguo”, quello che quel dovere, se andava bene a Borghese che era solo un ufficiale, non andava bene a lui. Stesse pure con le armi al piede con i suoi marinai, lui no. Lui era un principe di Casa Savoia e la sua posizione dinastica gli imponeva dei doveri che, sempre secondo lui, erano superiori a quelli militari. “In caso di emergenza – proseguì il duca – il mio dovere mi impone di accorrere subito a fianco al Re. Anzi, sarà opportuno che io sappia subito dove è il sovrano e dove possa raggiungerlo”. Ma dov’era il Re?» (Nesi Sergio, Junio Valerio Borghese un Principe un Comandante un Italiano, op. cit., p. 210).

Il Re si era già dileguato assieme a Badoglio e con altri ufficiali e il giorno seguente, il 9 settembre: «Sua Altezza Reale l’ammiraglio di squadra Aimone di Savoia-Aosta era già in alto mare da oltre due ore» (Ibidem, p. 212).

    “Boia chi molla!”

All’alba del 9 settembre 1943 Junio Valerio Borghese affida a von Martinez una lettera da consegnare al Generale Friedrich-Wilhelm Hauck, Comandante della 305a Divisione di fanteria di stanza a La Spezia: «“Questo è il Comando dei Mezzi d’Assalto della Marina Militare Italiana. Il Comandante della Flottiglia dà la sua parola d’onore di soldato che non prenderà le armi contro i tedeschi e chiede l’onore di poter conservare il suo comando e le sue armi fino a quando sia stato raggiunto un accordo con le Autorità Tedesche”» (Sergio Nesi, Junio Valerio Borghese un Principe un Comandante un Italiano, Editrice Lo Scarabeo, Bologna 2004, pp. 212-213).

Scrive Sergio Nesi a ricordo del giorno 9 settembre: «Come se non fosse successo nulla, il trombettiere suonò l’adunata per l’alzabandiera. Gli ufficiali, i sottufficiali e i marinai si schierarono su di un lato del piazzale; l’ufficiale di picchetto per quel giorno, il guardiamarina Kalby (un sardo del reparto “gamma”) avanzò con il picchetto d’onore tenendo tra le braccia la Bandiera, ma avendo nella mano destra un paio di forbici. Si fermò davanti al pennone (che si scorge ancora dalla strada), spiegò il telo a metà e, senza profferire parola, tagliò dal bianco centrale lo stemma di Casa Savoia. La X Flottiglia M.A.S. aveva troncato i ponti con la Monarchia alle ore 08.15 del 9 settembre 1943» (Ibidem, p. 214).

Successivamente: «Il 12 settembre (quindici giorni prima che nascesse lo “Stato Nazionale Repubblicano”, prima denominazione della Repubblica Sociale Italiana) avvenne un fatto nuovo, una sterzata decisiva, imprevista e imprevedibile nella storia della ‘Decima’ di quei giorni. Era giunto a La Spezia per prendere il comando della Marina tedesca anche in quella base navale il capitano di vascello Max Berninghaus. Questi aveva assunto l’incarico di Kapitän zur See e Seekommandant Italien Riviera, ponendo il suo comando a Genova-Nervi e La Spezia era di sua precisa competenza. Era quindi la massima autorità della Kriegsmarine in Liguria e il suo superiore diretto era il Konteradmiral Meendsen-Bohlken. Il fatto che, appena arrivato, abbia voluto prendere immediati contatti con il Comandante della X Flottiglia M.A.S., lascia intendere che aveva avuto ordini precisi per farlo e tutto lascia supporre che quegli ordini glieli avesse impartiti o il governo tedesco o il Grossadmiral Dönitz in persona, con ampia delega» (Ibidem, p. 222).

    La guerra continua accanto alla Germania.

Junio Valerio Borghese dichiara che la collaborazione con le Forze Armate della Germania sarebbe avvenuta a precise condizioni, secondo un preciso trattato.

Il 14 settembre 1943 a La Spezia il Comandante Junio Valerio Borghese e il Tenente di Vascello Max Berninghaus, il quale rappresenta la Kriegsmarine (Marina Militare tedesca), firmano l’accordo in cui si riconosce che la Xa Flottiglia M.A.S. combatterà al fianco delle Forze Armate tedesche e da esse dipenderà il suo impiego operativo.

Scrive il Comandante Borghese nel suo memoriale redatto subito dopo il termine della guerra: «Tale accordo è di capitale importanza, in quanto chiarisce e delimita perfettamente le funzioni della Xa nel quadro generale: gli accordi rimasero in vigore per 20 mesi – e non furono modificati neppure quando – sorto il governo della repubblica – questa concordava con i germanici altri accordi riguardanti lo statuto delle FF. AA. italiane. In base all’accordo, la Xa Flottiglia MAS – veniva riconosciuta da tutte le autorità germaniche:

 
  1. Quale unità complessa militare navale italiana – con completa autonomia nel campo logistico, organico, della giustizia e disciplina, amministrativo.
  2. Alleata delle FF. AA. germaniche, e quindi con parità di diritti e doveri.
  3. Batte bandiere[a] da guerra italiana.
  4. È riconosciuto a chi ne fa parte il diritto all’uso di ogni arma.
  5. Il Comandante Borghese ne è il capo riconosciuto – con i diritti ed i doveri inerenti a tale incarico.

Con tale accordo ha nascita ufficialmente la Xa Flottiglia MAS post-armistizio» (Junio Valerio Borghese, La Xa Flottiglia MAS, Effepi, Genova 2016, pp. 18-19).

 

Guido Bonvicini, che è stato marò nel Battaglione Lupo, riporta una analoga versione del testo dell’accordo, ma in sei punti:

 
  1. «La Xa Flottiglia MAS è unità complessa e appartiene alla marina militare italiana, con completa autonomia nel campo logistico, organizzativo, della giustizia e disciplina, amministrativo.
  2. È alleata alle FF. AA. germaniche con parità di diritti e di doveri.
  3. Batte bandiera da guerra italiana.
  4. È riconosciuto a chi ne fa parte il diritto all’uso di ogni arma.
  5. È autorizzato a ricuperare e armare, con bandiera ed equipaggi italiani, le unità italiane che si trovano nei porti italiani, il loro impiego operativo dipende dal Comando della Marina germanica.
  6. Il comandante Borghese ne è il capo riconosciuto, con i diritti e i doveri inerenti a tale incarico» (Guido Bonvicini, Decima Marinai! Decima Comandante!, Ugo Mursia Editore, Milano 1988, p. 16).
 

Bonvicini comunque specifica che il testo dell’accordo non è mai stato reso integralmente pubblico durante la guerra e che la «prima pubblicazione, nel 1950, fu opera di Franz Turchi (Turchi Franz, Prefetto con Mussolini, Latinità, Roma 1950, p. 31), allora capo della provincia di La Spezia, che per la sua posizione poteva averne conosciuto direttamente i termini: 1. La Xa Flottiglia Mas viene riconosciuta dalle forze germaniche quale unità militare navale della Marina italiana, completamente autonoma dai tedeschi nel campo logistico, amministrativo e della giustizia e disciplina in base all’alleanza in atto fra i due paesi; parità di diritti e di doveri con le FF.AA. tedesche. 2. La Xa batte bandiera da guerra italiana. 3. Ha diritto di sovranità su tutti i materiali da guerra e di naviglio abbandonati dalla Marina italiana. 4. È riconosciuto a chi ne fa parte il diritto dell’uso delle armi. 5. Il comandante Borghese ne resta il capo riconosciuto con i diritti e i doveri inerenti a tale incarico» (Ivi).

Sergio Nesi scrive invece: «1. La X Flottiglia M.A.S. appartiene alla Marina Italiana, veste uniforme italiana. I suoi uomini, se dovessero presentarsene le circostanze, saranno giudicati da tribunali italiani; 2. La X Flottiglia M.A.S. batte bandiera italiana; 3. Tutte le unità navali già in possesso della X Flottiglia M.A.S. all’8 settembre 1943 tornano in possesso dell’unità; 4. La X Flottiglia M.A.S. è alleata del Reich germanico e dipende operativamente dal comando germanico; 5. Il Capitano di Fregata Junio Valerio Borghese è riconosciuto Comandante della X Flottiglia M.A.S.» (Nesi Sergio, Junio Valerio Borghese un Principe un Comandante un Italiano, op. cit., pp. 224-225).

Dallo specifico punto di vista del Comandante Borghese la guerra va proseguita accanto alla Germania, dove per effetto di tale alleanza in Italia e all’estero i militari italiani stanno combattendo accanto ai camerati tedeschi. Difatti il soldato tedesco non è considerato, o da considerarsi, un invasore. Pertanto Borghese, dopo aver ottenuto dal Comando tedesco la possibilità di combattere a pari titolo e dignità, con la costituzione della Xa Flottiglia M.A.S. e unitamente ai suoi collaboratori, promuove il proseguimento della guerra e chiama alle armi, nello specifico nelle fila della Xa Flottiglia M.A.S., nuovi combattenti: i Volontari.

Mario Arillo diviene il Vice Comandante della Xa Flottiglia M.A.S. e l’unità è raggiunta anche da altri combattenti di spicco: il Maggiore del Genio Navale Umberto Bardelli e il Sotto Tenente paracadutista Mario Bordogna.

La Xa Flottiglia M.A.S. diviene una realtà militare, non politica e non politicizzata, che rimarrà estranea alla riorganizzazione del nuovo Partito Fascista nella costituzione della Repubblica Sociale Italiana. Questo creerà non pochi problemi al Comandante Borghese.

  Il nuovo Esercito, Italiano e non regio.

Sulle peculiarità tecniche raggiunte in quel periodo dall’esercito è bene ricordare che cosa scrive Giorgio Pisanò: «In molti reparti della RSI (in particolar modo in quelli della Decima MAS e degli arditi paracadutisti dell’aeronautica), si riscontrano delle novità organiche tali da determinare un tipo di impiego assolutamente nuovo per quei tempi e realizzato poi, ma solo a distanza di anni, dagli eserciti moderni: gruppi tattici e raggruppamenti tattici; reparti pluriarma e plurispecialità in unità dell’ordine di battaglione e addirittura di compagnia; decentramento massimo delle armi controcarro e controaeree fino a livello di compagnia; massima autonomia logistica e operativa di molti reparti che potevano così costituire delle piccole-grandi unità autosufficienti soprattutto dal punto di vista logistico. Non solo: si nota, inoltre, il comparire di unità che anticipano le Special Forces americane attraverso l’istituzione di nuclei propaganda e stampa e di unità per la guerra psicologica anche in reparti a livello di reggimento; l’esistenza di speciali reparti di ardimento sul tipo Rangers statunitensi, e persino di formazioni “arditi ufficiali” (rau), del tutto simili ai reparti d’“ardimento” oggi realizzati dall’esercito italiano presso la scuola di Cesano. Di estremo interesse anche la costituzione del Servizio Ausiliario Femminile, pienamente allineato, in quanto a strutturazione organica e funzionalità, con i similari servizi ausiliari di altri eserciti. Fondamentale, infine, l’accentramento, al vertice, dei dicasteri della Guerra, della Marina e della Aeronautica in un unico ministero della Difesa Nazionale, il che portava al massimo coordinamento di tutte le Forze Armate» (Giorgio Pisanò, Storia della Guerra Civile in Italia (1943-1945), Vol. II, Edizioni FPE, Milano 1966, p. 621).

L’Esercito di Campagna era composto da: 1a Divisione Bersaglieri Italia, 2a Divisione Fanteria Littorio, 3a Divisione Fanteria di Marina San Marco, 4a Divisione Alpina Monterosa. Inoltre, come riporta Giorgio Pisanò, vi erano Unità non indivisionate, Reparti non indivisionati, la Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.), la Marina Repubblicana, la Xa Flottiglia M.A.S., l’Aeronautica Repubblicana, le Brigate Nere, la Legione Autonoma Mobile Ettore Muti, il Servizio Ausiliario Femminile (S.A.F.) (Corpo Femminile Volontario per i Servizi Ausiliari delle Forze Armate Repubblicane), le Fiamme Bianche.

Inoltre: «Su tutto il territorio della RSI si organizzarono dei reparti con personale volontario delle classi 1927 – 28 – 29 – 30 – 31 – 32 denominati, dal colore delle mostrine, fiamme bianche e destinati all’assistenza della popolazione. Gran parte di questi giovanissimi però, circa 5000, si arruolarono nelle FF. AA. e le loro perdite, sia al fronte che dopo il 25 aprile, furono ingenti. Le fiamme bianche cadute sul campo furono 147» (Ibidem, p. 639).

Numerosi italiani si arruolano nelle Waffen SS (SS Combattenti), mentre altri vanno a costituire la “Legione SS italiana”.

        Note   1) Ecco il testo letto da Badoglio la sera dell’8 settembre 1943:

«Il Governo Italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al Generale Eisenhower Comandante in campo delle forze Alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le Forze anglo-americane deve cessare da parte delle Forze Italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza» (Il Messaggero, 9 settembre 1943, p. 1. L’annuncio originale è ascoltabile in Internet: http://video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/badoglio-annuncia-l-armistizio-dell-italia/139334/137875).

   

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