Un principe in Marina.«Sappiamo che si vince quando si è saputo dare, al cammino inarrestabile della civiltà, un’impronta non pallida né secondaria»
Decima Flottiglia M.A.S. – Reparto Stampa, Vincere nel tempo
Il principe Junio Valero Borghese (Roma 1906 – Cadice 1974) è discendente della Famiglia Borghese, d’antica casata.
Nel 1922 entra nella Regia Accademia Navale, divenendo Allievo della I Classe, matricola n° 975. Nel 1927 è aspirante guardiamarina e successivamente diviene Sottotenente di Vascello. Nel 1931 sposa la contessa Daria Wassilevna Olsoufieff e poco dopo è destinato alla Scuola del Corpo Reale Equipaggi Marittimi (C.R.E.M.) a Pola.
L’anno successivo, dietro sua espressa richiesta, Borghese è imbarcato su di un sommergibile; ricoprirà il grado di Ufficiale in 2a sul Tricheco, battello della Classe Squalo. Il 23 gennaio 1933 s’imbarca sul rimorchiatore d’alto mare Titano, dove potrà conseguire il brevetto di palombaro. Dopo un breve periodo sulla Nave Scuola a vela Cristoforo Colombo ed essere stato promosso a Tenente di Vascello, torna sul Titano nel 1934 «per proseguire il primo tirocinio per palombari di grande profondità dal 14 marzo al 2 maggio 1934, quando, dopo avere raggiunta la profondità record di 150 metri con scafandro rigido e avere ottenuto anche quel brevetto, divenuto ormai esperto sui problemi subacquei, sulle immersioni, sui fenomeni fisici e di lavoro nelle profondità marine, fu nominato Comandante in 2a di quel rimorchiatore d’alto mare, divenendo a sua volta istruttore degli allievi palombari e sbarcando solo il 29 ottobre 1935» (Sergio Nesi, Junio Valerio Borghese un Principe un Comandante un Italiano, Editrice Lo Scarabeo, Bologna 2004, p. 84).
Con la guerra Italo-Abissina Borghese è nel porto di Massaua nel novembre del 1935, ancora a bordo del Tricheco. Due anni dopo s’imbarca sul sommergibile Giuseppe Finzi e il 15 giugno 1937 assume il comando di un altro sommergibile, l’Iride.
Nel corso della Guerra Civile Spagnola il battello è ridenominato Gonzales Lopez e successivamente L.3, effettuando alcune missioni e siluramenti. Verso il termine dello stesso anno Borghese assume il comando di un altro sommergibile, il Galileo Ferraris, per poi rientrare sull’Iride.
Dopo ulteriori imbarchi su altri battelli, all’ingresso del Regno d’Italia in guerra Borghese si trova al comando del Vettor Pisani, un sommergibile di media crociera. L’11 settembre 1940 Borghese, già nominato Capitano di Corvetta, assume ufficialmente il comando del sommergibile Sciré, con cui compirà numerose missioni, le quali rimarranno nella storia della marineria mondiale. Si tratta di un battello della Serie “Adua”, Classe “600”, modificato per essere destinato ad “avvicinatore” con l’installazione in coperta di tre contenitori cilindrici stagni dove alloggiare altrettanti S.L.C.
Le missioni di guerra effettuate dagli incursori italiani sono numerose e su di esse vi è una discreta letteratura, unitamente alle onorificenze e alle medaglie al valore ottenute tanto da Borghese quanto dagli altri appartenenti alla Marina. Un vero capolavoro d’intelligenza, perizia e coraggio è anche la costituzione di una base d’attacco nella baia di Algesiras e in prossimità del porto militare inglese di Gibilterra: Villa Carmela, come base logistica, e la nave mercantile Olterra, come base operativa, da cui sono partite le missioni contro le navi avversarie.
Il tutto si può riassumere con la trascrizione di una parte dell’articolo composto da un inglese, il Tenente di Vascello Frank Goldsworthy, pubblicato sul Sunday Express il 25 dicembre 1949; egli «unitamente al com.te Lionel Crabb e al t.v. Peter Mc Donald, faceva parte del servizio segreto navale britannico ed era stato destinato a Gibilterra.
“Lo ‘Scirè’, al comando del principe Borghese, portava tre equipaggi di mezzi d’assalto per un attacco alle navi da battaglia inglesi a Gibilterra. Cominciava così una guerra di tre anni, combattuta in silenzio sotto la superficie della baia di Gibilterra. Al prezzo di 3 morti e 3 prigionieri, le unità dei mezzi d’assalto italiani vi affondarono o danneggiarono 14 bastimenti alleati, per un totale di 73.000 tonn. La costante minaccia del silenzioso attacco notturno richiese decine di migliaia di ore di vigilanza da parte del personale della Marina e dell’Esercito. La storia intima di questa guerra nella guerra è una lunga cronaca di insidie e di stratagemmi. Non una delle 7 operazioni condotte dagli italiani intaccò la neutralità spagnola; e ognuna richiese da parte degli attaccanti tanta audacia e resistenza fisica da suscitare il rispetto di qualsiasi marina del mondo”» (Ibidem, p. 122).
Il resto è Storia.Il giorno 8 marzo 1942 Borghese lascia il comando dello Scirè e nel frattempo «la X Flottiglia M.A.S. era passata alle dipendenze dell’Ispettorato Generale dei M.A.S., costituito per disciplinare e coordinare le attività di tutte le flottiglie di M.A.S., di M.S. (motosiluranti) e di M.V. (motovedette). Ispettore Generale era l’ammiraglio Aimone di Savoia Aosta, che fin dal loro nascere aveva seguito l’evoluzione dei nuovi mezzi con simpatia e con una personale attenzione» (Ibidem, p. 163).
Il 1° maggio 1943 l’oramai Capitano di Fregata Junio Valerio Borghese assume il comando della Xa Flottiglia M.A.S., unitamente al Reparto di superficie, sostituendo il pari grado Ernesto Sforza. Dopo la battaglia di El-Alamein la situazione in Africa Settentrionale è compromessa e le truppe italo-tedesche sono in quasi costante ripiegamento, fino alla resa del 13 maggio 1943. Il 10 luglio gli angloamericani sbarcano in Sicilia e s’impone la difesa del suolo italiano.
Scrive Sergio Nesi: «Il Com.te Borghese ha narrato sinteticamente quella fase convulsa della guerra, con i barchini siluranti impegnati allo spasimo in agguati davanti a Siracusa, Augusta, Catania, Taormina, con l’attacco di Lenzi e Barabino a due incrociatori inglesi che bombardavano il viadotto di Sant’Agostino lungo la strada che porta a Messina, con le azioni combinate assieme agli N.P. del comandante Nino Buttazzoni per operare sbarchi di guastatori alle spalle delle linee nemiche, come gli sbarchi compiuti dal c.c. Aldo Lenzi, dal t.v. Ongarillo Ungarelli e dal s.t.v. Gustavo Fracassini a Capo Santa Croce» (Ibidem, p. 199).
La situazione politica italiana del periodo è condensata in forma interessante, ma indubbiamente asettica, dal Maggiore Generale dell’Esercito Britannico William Godfrey Fothergill Jackson (1917 – 1999), il quale è stato Governatore di Gibilterra dal 1978 al 1982:
«C’erano in Italia tre fazioni principali che, come Mussolini, stavano cercando un modo per far uscire il loro paese dalla guerra: i fascisti dissidenti capeggiati da Ciano e Grandi; i partiti clandestini e antifascisti; e un gruppo di alti ufficiali del Comando Supremo che, conoscendo la vera situazione militare, desideravano risparmiare al loro paese ulteriori e inutili sacrifici. La storia degli intrighi, dei complotti e dei controcomplotti di questi tre gruppi non fa parte della storia della Battaglia d’Italia. Basterà qui dire che i gruppi più influenti desideravano tutti raggiungere il loro scopo instaurando un governo costituzionale posto sotto la monarchia e che tutti erano dell’opinione che un coup d’état contro Mussolini avrebbe comportato ben pochi vantaggi se non si fosse riusciti a rompere l’alleanza coi tedeschi senza incorrere nella loro vendetta. Un modo per ottenere ciò era di mettersi alla mercè degli alleati, ma essi erano ancora troppo lontani per poterli proteggere dai tedeschi e avevano malauguratamente dimostrato scarsa comprensione per la situazione dell’Italia, annunciando, dopo la conferenza di Casablanca, la formula della “resa incondizionata”» (William G. F. Jackson, La Battaglia d’Italia, Edizioni Accademia, Milano 1978, p. 25).
William Godfrey Fothergill Jackson, assai curiosamente, si guarda bene dal fare qualsivoglia accenno al Re d’Italia e a Casa Savoia, ovvero a chi comandava e da cui erano “partiti” interessanti ordini per il raggiungimento della resa.
Ad ogni buon conto, mediante “complotti” e “controcomplotti”, almeno dal 1942 c’era chi, in seno alle Regie FF. AA. Italiane, si stava adoperando per giungere a una intesa con gli angloamericani. Permane il forte dubbio che in Italia qualche cosa non “funzionasse” fin dall’entrata in guerra, ovvero dal 1940, per non dire già da ben prima.
Si tornerà in altre “puntate” sull’argomento e riportando alcuni stralci del prezioso lavoro condotto da Elena Aga Rossi: L’inganno reciproco. L’armistizio tra l’Italia e gli angloamericani del settembre 1943 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato – Fonti XVI, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali – Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, Roma 1993).
La “cabrata”.
A Roma, nel tardo pomeriggio del 24 luglio 1943, si riunisce al completo il Gran Consiglio del Fascismo. (1)
Sono presenti, oltre a Benito Mussolini in qualità di Presidente, i 28 componenti del Gran Consiglio del Fascismo: Giacomo Acerbo, Umberto Albini, Dino Alfieri, Giovanni Balella, Giuseppe Bastianini, Carlo Biggini, Annio Bignardi, Giuseppe Bottai, Guido Buffarini-Guidi, Tullio Cianetti, Galeazzo Ciano, Emilio De Bono, Alfredo De Marsico, Alberto De Stefani, Cesare Maria De Vecchi, Roberto Farinacci, Luigi Federzoni, Ettore Frattari, Enzo Galbiati, Luciano Gottardi, Dino Grandi, Giovanni Marinelli, Carluccio Pareschi, Gaetano Polverelli, Edmondo Rossoni, Carlo Scorza, Giacomo Suardo, Antonino Tringali-Casanova.
I lavori del Gran Consiglio sono terminati nell’ora seconda del mattino seguente con l’approvazione dell’Ordine del Giorno presentato da Dino Grandi.
Contro l’O.d.G. di Grandi votano: Biggini, Buffarini-Guidi, Frattari, Galbiati, Scorza, Polverelli, Tringali-Casanova. Astenuto: Suardo. Vota a favore del proprio O.d.G. Farinacci.
In sostanza si vota la sfiducia a Benito Mussolini con la richiesta a Re Vittorio Emanuele III di assumere l’effettivo comando delle Forze Armate Italiane. Casa Savoia aveva già preso, lo si rammenta, ampi accordi con Inglesi e Americani.
La mattina del 25 il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio è nominato Capo del Governo dal Re e nel tardo pomeriggio Benito Mussolini si reca anch’egli in udienza dal sovrano, al termine della quale è “fatto arrestare” dai Carabinieri e tradotto nella Caserma della Legione Allievi Carabinieri. Il giorno 27 Badoglio decreta lo scioglimento del Partito Nazionale Fascista. (2)
Dopo alcuni trasferimenti avvenuti nei giorni e nelle settimane successivi Mussolini è fatto giungere nell’albergo di Campo Imperatore, al monte Aquila, nel massiccio del Gran Sasso d’Italia, dove rimane dal 2 al 12 settembre. Con l’Operazione Quercia le truppe aviotrasportate tedesche giungono a Campo Imperatore e prelevano Mussolini portandolo a Vienna. Il giorno 13 è a Monaco di Baviera, incontrandovi il Cancelliere di Germania Adolf Hitler. (3)

1) Gran Consiglio del Fascismo: «Articolo 1. Il Gran Consiglio del Fascismo è l’organo supremo, che coordina e integra tutte le attività del Regime sorto dalla Rivoluzione dell’ottobre 1922. Esso ha funzioni deliberative nei casi stabiliti dalla legge, e dà, inoltre, parere su ogni altra questione politica, economica e sociale di interesse nazionale, sulla quale sia interrogato dal Capo del Governo» (Legge 9 dicembre 1928, n. 2693, Gazzetta Ufficiale, 11 dicembre 1928, n. 287).
Possiamo leggere sul sito web del Grande Oriente d’Italia Democratico: «Di fatto, con le gesta del 24-25 luglio 1943, il Gran Consiglio del Fascismo (che sin nel nome era stato concepito dai massoni di destra convertiti al Fascismo in omaggio alle consuete simbologie muratorie) ritirava la delega che - con il consenso della grande industria e dei vertici militari di fede monarchica - circa vent’anni prima aveva conferito al formalmente mangia-massoni Benito Mussolini, per instaurare una dittatura che risolvesse i gravi problemi politici italiani. La stessa grande industria privata (il massone Vittorio Valletta alla Fiat ed altri a capo di altre imprese), la dirigenza di quella pubblica cresciuta alla corte del massone Alberto Beneduce (già Presidente dell’IRI) e quasi tutte le più alte cariche militari erano rappresentate da antichi frequentatori di logge (spesso della parte più retriva e conservatrice) che, dopo aver tradito per due decenni i propri giuramenti libero-muratori ed aver assistito indifferenti alla persecuzione di fratelli sinceramente liberali e democratici (condannati al confino, all’esilio o assassinati), adesso si riprendevano in mano il potere, dopo aver constatato il fallimento dell’homo novus di Predappio. Del resto, a partire da Dino Grandi, che fece votare il suo ordine del giorno di sostanziale sfiducia a Mussolini, la maggioranza dei componenti di quel consesso, fondato il 15 dicembre 1922, era sempre stata saldamente nelle mani di detentori di grembiulini e guanti bianchi. E Grandi (nato nel 1895), che morirà serenamente di vecchiaia a 93 anni nel 1988, pur essendo implicato fino al collo nel fascismo squadrista ed eversivo prima e nel governo in nome del regime dittatoriale poi (come Ambasciatore a Londra, Ministro degli Esteri e Ministro Guardasigilli), diverrà nel Secondo Dopoguerra - proprio in virtù della sua mai riposta appartenenza alla massoneria destrorsa - un autorevole intermediario di delicate operazioni industriali e politiche da una parte all’altra dell’Atlantico, in un rapporto di stretta collaborazione con gli ambasciatori statunitensi in Italia, prima fra tutti l’ambasciatrice Clare Boothe Luce (già membra repubblicana molto conservatrice della Camera dei Rappresentanti USA dal 1943 al 1947), che risiedette a Roma nei cruciali anni dal 1953 al 1956» .
Poi che ognuno, serenamente, conduca le proprie indagini.2) Le conseguenze dello scioglimento del P.N.F. prima e della resa incondizionata poi compromettono fortemente la già poco efficiente difesa antiaerea, dato di fatto generalmente e curiosamente sottovalutato. Nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (M.V.S.N.) vi erano le Milizie Speciali, tra cui l’Artiglieria Contraerea, la quale era destinata all’organizzazione della difesa contraerea territoriale (Di.Ca.T, D.I.C.A.T., “Miliazia Dicat, o anche M.C.A.). In ogni caso l’organizzazione presentava già forti carenze e ad esempio: «La DICAT, difatti, dipendeva da un ente prettamente amministrativo quale il Ministero della Guerra, che non era uso al comando e controllo di truppe. Solo a guerra inoltrata si rimediò alla situazione, transitando la difesa territoriale sotto lo SMRE. Inoltre, erano troppi gli organismi preposti alla difesa controaerei, che facevano a loro volta capo all’Esercito, alla Milizia ed alla Marina, senza contare la PAA che – sino al marzo 1940 – aveva dipeso dal Ministero dell’Interno» (Filippo Cappellano, L’artiglieria controaerei italiana sino al 1943, in Storia Militare, N. 18, Marzo-Aprile, Parma 2015, p. 26).
In buona sostanza i Militi della “controaerei” ci misero anche tutta la loro buona volontà, ma la situazione politica e militare certamente ne limitò fortemente le potenzialità nonché l’entusiasmo. A questo s’aggiunga il fatto che l’artiglieria antiaerei aveva pochi validi pezzi e in ritardo giunsero adeguati sistemi di puntamento.
3) I fatti della Seconda Guerra Mondiale hanno prodotto svariate “leggende”, o meglio taluni fatti sono stati “travisati” o riportati in modo non conforme alla realtà dell’accaduto. Uno di questi è che a “liberare” Mussolini sia stato l’ufficiale delle SS Otto Skorzeny (Vienna 1908 – Madrid 1975). In realtà l’Operazione Quercia (Fall Eiche) è stata condotta dall’ufficiale della Wehrmacht Harald Mors (Alessandria d’Egitto 1910 – Bergam am See 2001), come riportato anche nel libro di Marco Patricelli dove nell’introduzione scrive: «Hitler ordina, il generale Student coordina, il maggiore Mors elabora ed esegue, il capitano Skorzeny diventa eroe» (Marco Patricelli, Liberate il Duce. Gran Sasso 1943: la vera storia dell’Operazione Quercia, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2001, p. 3).
Non si può sottacere come si sia ipotizzato che Mussolini fosse tenuto “in serbo” in albergo e il tutto non fosse altro che uno degli atti conclusivi della concertata resa incondizionata; secondo fonti tutt’altro che confermate se la resa fosse andata a buon fine Mussolini avrebbe potuto riprendere il suo posto al Governo accanto al Re e con il beneplacito degli U.S.A. a guerra conclusa. Sia come sia si può esaurire la questione con le parole di Vincenzo Di Michele: «La sorte dell’Italia fu racchiusa tutta, nell’ambivalenza di una condizione stretta tra le esigenze dell’occupazione e le necessità politico-propagandistiche della sopravvivenza di una alleanza, il cui riconoscimento effettivo si scontrava con condizioni di fatto che oggettivamente tendevano a negalo. Al di là dell’interesse personale di Hitler nei confronti della persona di Mussolini più che del ruolo, la Germania era senza ombra di dubbio interessata a tenere l’Italia, proprio per arrestare l’avanzata anglo-americana sulle posizioni più lontane possibili dal confine meridionale del Reich» (Vincenzo Di Michele, Mussolini finto prigioniero al Gran Sasso, Editore Curiosando, Firenze 2011, p. 205).
Ancora nel 2016 si scrive e non solo sul Corriere della Sera: «“Abbiamo stretto un patto con il diavolo”. Questo il pensiero degli agenti del Mossad che nei primi mesi del 1962 riuscirono a “persuadere” Otto Skorzeny – l’ex ufficiale delle SS che liberò Mussolini dal Gran Sasso – a diventare non solo un preziosissimo informatore per il servizio di intelligence del neonato Stato ebraico ma, addirittura, un killer capace di eliminare gli scienziati tedeschi che allora si erano messi al servizio del Paese considerato il nemico numero uno di Israele: l’Egitto» (dall’articolo di Paolo Salom, Corriere della Sera, 28 marzo 2016; consultabile sul Web.Di contro, documenta Luigi Romersa: «Un giorno, nella primavera del 1956, mentre mi trovavo al Cairo in occasione dell’attacco simultaneo a Suez delle forze israeliane e di quelle aviotrasportate franco-britanniche, venni a sapere da un misterioso personaggio che viveva rifugiato in Egitto, ospite personale di Nasser, e cioè il Gran Muftì di Gerusalemme, Mohammed Hussein, che Otto Skorzeny si trovava in città (…). Che cosa ci faceva Skorzeny in Egitto? Su invito di Nasser addestrava i commando del Rais che, al Cairo, venivano pomposamente chiamati “Caimani del Nilo”» (Luigi Romersa, I segreti della Seconda guerra mondiale, Ugo Mursia Editore, Milano 2006, p. 318).
Va ricordato che i Caimani del Piave erano uno speciale reparto italiano di nuotatori-assaltatori volontari costituito dopo la rotta di Caporetto: e qui si parla di gente italiana e di ben altra “stoffa”.