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Decima Flottiglia M.A.S.: propaganda per la riscossa (seconda parte) – Gianluca Padovan

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«Vai subito, padrona, dalla nutrice e leggile il resto, perché anche lei apprenda le sue disgrazie e non se ne stia beata nella sua ignoranza per sempre»

Antonio Diogene, Le incredibili avventure al di là di Thule; II sec.
    La realtà dei fatti.

I manifesti sono messaggi diretti a tutti, che si voglia o meno guardarli, e la maggior parte di quelli fatti stampare dall’Ufficio Propaganda della Decima dichiarano che la Xa Flottiglia M.A.S. esiste e combatte.

Seppure siano passati così tanti decenni dacché vennero pensati e affissi sono d’attualità perché la guerra non si è conclusa né con la resa incondizionata né con la cessazione delle ostilità nel 1945. Difatti, come ben dimostrano i fatti di cronaca, l’Italia è ancora adesso un paese a sovranità più che limitata e costantemente invaso da genti che qui non devono stare e che manteniamo a nostre spese.

L’Italiana e l’Italiano devono essere cancellati e solo allora la guerra si concluderà. È questo quello che vogliamo?

L’invasione ha il fine di creare la sostituzione del Popolo Italiano con le masse invadenti soprattutto asiatiche e africane, le quali già oggi costituiscono comunità assolutamente chiuse e regolarizzate al loro interno dalla loro malavita. Smettiamola di lavarci la bocca e il cervello con la parola “integrazione”, perché costoro sono solo dei predatori del nostro territorio che non hanno affatto intenzione di integrarsi.

D’altra parte coloro che non gradiscono sottostare all’invasione sono tacciati di “fascismo”, la oramai desueta e consunta “parola-spauracchio” usata innanzitutto dalla sinistra, ovvero da coloro che un tempo erano inquadrati sotto la massonica bandiera rossa sovietica e che oggi sono semplicemente pagati o plagiati per tenere la bocca chiusa e avvallare l’invasione. Ma tale parola è ampiamente usata anche nei così detti ambienti “democratici” e in quelli legati allo Stato Vaticano, il possessore del più grande patrimonio immobiliare storico del mondo. Dal momento che l’Italiano e l’Italiana disertano sempre più palesemente le chiese, è chiaro che chi le possiede debba trovare nuovi fedeli per potersi mantenere.

In taluni ambienti della “destra” non si usa, ovviamente, la “parola-spauracchio”, ma vi è comunque un tacito avvallo dell’invasione. In primo luogo perché chi tiene le redini di certi “gruppi” è massone, pertanto prende ordini da ben altre parrocchie. In secondo luogo varie persone, nella realtà dei fatti, sono solo dei qualunquisti, traditori degli ideali di Patria e di Nazione, troppo spesso solo innamorati degli oggetti del passato. Difatti taluni di loro collezionano quello che non avrebbero mai potuto ottenere sul campo di battaglia, perché idioti, infingardi e vigliacchi, ma che purtroppo in pubblico si spacciano per ciò che non sono.

Assai indicativamente ecco un paio di manifesti usciti attorno al 1944, che ben denunciano un preciso programma ancora oggi, ma soprattutto oggi, in piena attuazione.

Fatti stampare dallo Stato Repubblicano e in piena guerra, il manifesto domanda: «Vogliamo essere comandati dai negri? // No! Giammai!». Non si tratta di un manifesto denigratorio, perché esso denuncia semplicemente ma chiaramente il ben preciso programma, esemplificato nel secondo manifesto che si propone ad utile riflessione.

Sempre prodotto e affisso nel periodo di guerra è intitolato «La nuova Italia». Vi compaiono foto di rappresentanti d’etnìe asiatiche e africane, provviste delle seguenti didascalie: «il potere supremo», «l’aristocrazia», «il popolo degli elettori» e «le organizzazioni giovanili».

Perché ciò?

Risponde al quesito la frase finale del manifesto: «nella concezione di Bonomi, Togliatti & C.».

D’Ivanoe Bonomi, massone, s’è accennato in Epistemologia della menzogna (Parte terza. La disciplina dell’occultamento), mentre del comunista Palmiro Togliatti s’è parlato in Prigionieri!; entrambi gli articoli sono stati pubblicati da Ereticamente.

      Dal tradimento dei Savoia alla difesa della Patria.

A dispetto di quanti ad oggi cerchino di sminuire l’operato di chi non volle piegare la testa a seguito della prima firma della resa, avvenuta a Cassibile il 3 settembre 1943, la Decima si è battuta in campo aperto accanto all’alleato germanico.

Anche in questo caso vediamo che cosa dicono e testimoniano i fatti.

La Xa Flottiglia M.A.S. oppone le proprie poche ma determinate forze all’avanzata del nemico. Le azioni sono presentate e ricordate alla popolazione civile anche mediante l’affissione di un particolare manifesto (70 x 100 cm).

Esso reca scritto: «NETTUNO // il “barbarigo è in linea„ // il “barbarigo„ a nettuno testimonia il valore della patria risorta».

Il grande foglio si compone di una serie di foto che montate assieme vogliono testimoniare la presenza e l’impegno nella lotta del Battaglione Barbarigo sul fronte di Nettuno nel 1944.

Presenta caratteri bianchi e neri su fondo nero e rosso, con dodici immagini di cui un fante con l’equipaggiamento è in primo piano, due fanno da sfondo (un fante con il basco e un soldato alla mitragliatrice) e nove sono riquadrate. Queste ultime recano le seguenti didascalie, in caratteri bianchi, partendo da sinistra in alto: Il Comandante Borghese tiene a rapporto i suoi ufficiali // Cerimonia religiosa di Battesimo // Postazione di mitragliatrici al fronte // Cameratismo cordiale // Feriti curati al posto di pronto soccorso // Doni di Pasqua agli uomini del Btg. Barbarigo // Un ufficiale del Btg. Barbarigo // Il gagliardetto // Il comandante Borghese s’intrattiene con un comandante germanico.

Altri manifesti semplicemente attestano l’esistenza della Xa Flottiglia M.A.S. e il suo impegno nel difendere il suolo italiano dall’invasore angloamericano. Il testo del seguente manifesto è chiarissimo:

«X / flottiglia / MAS // Nel nome d’Italia. // I volontari dei battaglioni “S. Marco„ hanno ripreso il loro posto di combattimento stretti intorno alla loro bandiera, mai ammainata. Sono questi combattenti la cui fierezza e il cui valore sono tradizioni purissime mai smentite che ci indicano oggi la giusta unica via da seguire: combattere. // Marinai / Arditi / Guastatori / Paracadutisti / e soldati di tutte le armi / il reggimento “S. Marco„ raccoglie sotto l’egida della Xa Flottiglia Mas il fiore dell’arditismo Italiano. Le sue gloriose insegna non conoscono macchia: / Arruolatevi».

Il foglio stampato, di 70 x 100 cm, con caratteri azzurri su fondo originariamente nocciola chiaro, presenta in testa due leoni alati rossi contrapposti e sorreggenti lo stemma della Xa Flottiglia M.A.S.; sul loro basamento vi è la scritta: iterum - rudit – leo -.

Si hanno poi manifesti con disegni e tra i più belli e accattivanti dal punto di vista grafico vi sono quelli firmati da Gino Boccasile, come già accennato nella precedente parte di questo contributo storico. Il più famoso, il MAS solcante il mare e che venne esposto in gigantografia in piazza del Duomo a Milano, reca scritto:

«tra gli arditi del mare / per l’onore, per l’italia // ARRUOLATEVI»

A commento di questo manifesto così ha scritto Roberto Guerri nel suo lavoro dei primi anni Ottanta dal chiaro sapore revisionista e riguardante la propaganda:

«Dopo l’8 settembre 1943, il comandante della X flottiglia Mezzi Antisommergibile della marina militare di stanza tra Lerici e La Spezia annunciò la costituzione di una unità operativa autonoma sia dai tedeschi sia da Salò. Nacque così la Decima M.A.S. che arruolò circa 4.000 effettivi. Nonostante le proclamate ambizioni del comandante Junio Valerio Borghese, la Decima non combatté contro gli anglo-americani se non per breve tempo: l’unico impiego concesso da Kesserling [Kesselring. N.d.A.] ai marò di Borghese fu la guerra antipartigiana, condotta con spietata ferocia e crudeltà. Nell’aprile del 1945 la Decima M.A.S. “pronta a tutti gli ardimenti” si arrese, con alla testa il suo comandante, senza sparare un colpo» (Roberto Guerri, Manifesti italiani nella Seconda Guerra Mondiale, Rusconi Libri, Milano 1982, p. 100).

Quello che Guerri ha scritto è una sorta di “propaganda” in negativo, con chiaro intento revisionista. Ovvero costui ha propalato per mera ignoranza dei fatti, oppure per “partito preso”, una certa visione distorta e tendenziosa degli accadimenti storici. D’altra parte, di questi antistorici e quindi revisionisti “esempi denigratori”, in Italia se ne sono visti parecchi e non nel solo dopoguerra, ma praticamente fino ai giorni nostri.

Nei fatti concreti la Xa Flottiglia M.A.S. è andata a costituire un piccolo esercito autonomo, perché è questo che riuscì ad essere, di gran lunga superiore alle quattromila unità dichiarate da Guerri. Era alle dirette dipendenze del Comando germanico, ma doveva comunque rendere conto e cooperare con l’Esercito Repubblicano. Oltre al fronte di Anzio-Nettuno s’impegnò per tutta la durata della guerra in altri settori italiani, chiaramente considerando Italia anche le terre oggi in mani slave. L’ultimo impegno di rilievo contro gli angloamericani è stato sul fronte del Senio.

Oggi sul web “girano” alcune immagini di manifesti della Decima, che probabilmente sono stati dei prototipi. Uno di questi, con la scritta in caratteri bianchi e neri, raffigura un redivivo ufficiale romano con teschio e rosa “lunga” in bocca che impugna il gladio. Alle sue spalle si scorgono Marò italiani con elmetto e sulla cui divisa le mostrine della Xa M.A.S. sono perfettamente riconoscibili.

«LA Xa TI CHIAMA! // marina da guerra repubblicana». Questo è quanto recita un altro probabile prototipo in cui è raffigurato un soldato che per metà rappresenta un centurione d’epoca imperiale, con lorica segmentata, che regge l’insegna della x legio, con aquila. L’altra metà rappresenta un Marò della Xa M.A.S. in assetto da combattimento; alle sue spalle vi è l’insegna con l’aquila della Repubblica Sociale Italiana a cui è fissato il noto gagliardetto della Xa Flottiglia M.A.S.

Un altro probabile prototipo reca in testa la scritta a caratteri neri «Xa FLOTTIGLIA MAS» e in basso «marina da guerra repubblicana». Mostra un leone alato, richiamante quello di San Marco, che regge i lacerti del libro su cui è stata sovraincisa la frase: «per l’onore dell’italia». Con la zampa anteriore sinistra ghermisce un fante dell’Armata Rossa, calzante il berretto fregiato di stella rossa con falce e martello, armato con quello che parrebbe essere un moschetto automatico PPSh 1941.

Gino Boccasile ha disegnato un particolare e suggestivo manifesto, anch’esso probabilmente rimasto alla fase di “prototipo”. Due teste di alpini, uno con il cappello e l’altro con l’elmetto, emergono tra gli spruzzi di neve, o meglio resistono scultorei nella tormenta. I caratteri bianchi recitano: «Xa flottiglia MAS // VALANGA». All’angolo inferiore sinistro c’è la firma in nero: Boccasile.

    Contro gli attentati dei “parteggianti”.

Alcuni manifesti denunciano gli attentati terroristici e gli assassinii condotti dai così detti “partigiani”, tranquillamente indicabili come “parteggianti”. (1)

Ad esempio, un manifesto di 50x70 cm è di particolare interesse perché parla di ex prigionieri russi nelle file dei “parteggianti”.

Una nota per tutte: «Tra i partigiani è invece quasi certo che combatterono almeno 5.000 ex prigionieri sovietici, cioè ex militari dell’esercito sovietico liberati dai campi di prigionia italiani» (Adriana Cantamutto, Nico Sgarlato, La guerra in Italia. Da Roma al 25 aprile, Delta Editrice, Parma 2010, p. 132).

Ciò che deve innanzitutto fare riflettere studiando la Storia è un dato di fatto troppo spesso ignorato: tra i “partigiani-parteggianti” combatterono con funzioni dirigenziali numerosi stranieri, tra cui figurano taluni francesi. Sarebbe utile condurre indagini, ad esempio, sul cambio della guardia avvenuto nelle dirigenze parteggianti delle terre bresciane: chi sono stati quegli stranieri che d’autorità andarono a sostituire gli “italiani” nella direzione degli attentati, delle “epurazioni” e delle varie piccole stragi passate forzatamente nel dimenticatoio?

Ecco il testo di un manifesto il cui messaggio è chiaro e inequivocabile, anche per noi oggi:

«Xa FLOTTIGLIA M.A.S. / SAN MARCO // Cittadini, / Due Ufficiali del San Marco sono stati barbaramente trucidati alla Stazione ferroviaria di Valmozzola da una banda di cosidetti “Partigiani„ perché rei di indossare la gloriosa divisa della Marina Italiana. / La pronta reazione della X. Flottmas, ha portato alla morte di 11 banditi caduti in combattimento ed alla cattura di altri 9 dei quali 8 iermattina in Valmozzola sono stati fucilati. / Eccovi i nomi: / parenti gino fu Amedeo - da Spezia cl. 1923 // trogu angelo di Salvatore - da S. Terenzo cl. 1924 // gerini nino fu Ugo - da Lerici cl. 1926 // cheirasco ubaldo di Augusto - da Spezia cl. 1922 // mosti domenico di Oreste da Spezia cl. 1924 // tendola giuseppe fu Isidoro - da Sarzana cl. 1922 // oltre due sudditi russi ex prigionieri // Uno è stato graziato, galeazzi mario, fu Battista da Comano perché in base alle testimonianze dei compagni in punto di morte è stato riconosciuto coercito all’arruolamento nella banda. / La Xa non lascia invendicati i suoi caduti. / Per mare e per terra, nella rada di Anzio e sul fronte di Nettuno i nostri mezzi d’assalto e il Battaglione “Barbarigo„ stanno combattendo contro l’odiato nemico anglo-americano. / Noi non vogliamo lo spargimento di sangue Italiano, nostra unica meta, nostro unico scopo sono di batterci per l’onore, per la vittoria. / Siamo decisi a difenderci e a punire chiunque tenti di turbarci nel nostro compito // la xa non si tocca // Posta da Campo 781 - 18 marzo 1944-XXII // il comandante di fregata / J. Valerio Borghese».

Sugli ex-militari sovietici dell’Armata Rossa, poi ex-detenuti dei campi di prigionia in Italia, poco si dice a ancor meno si scrive. Scappati dall’internamento a seguito dell’8 settembre, si diedero alla macchia e costituirono unità “partigiane” in cui affluirono anche italiani. A guerra finita calò su di loro la damnatio memoriae, perpetuata fino ad oggi dai “presunti parteggianti”. Uno di coloro che ha condotto tali unità è stato Nicola Pankov, fatto uccidere dal commissario parteggiante comunista italiano Leonardo Speziale, detto “lo zolfataro”: «Nella vicenda Pankov, il Pci bresciano è messo sotto pressione dal centro del partito e dalla Delegazione “Garibaldi”» (Mirco Dondi, La Resistenza tra unità e conflitto: vicende parallele tra dimensione nazionale e realtà piacentina, Bruno Mondadori Editore, Milano 2004, p. 119).

Ma questi non erano i soli parteggianti stranieri e significativa è anche la vicenda di James Danskin Veitch detto “Giacomino l’inglese” che ha combattuto in Valtrompia.

      Attentatori & terroristi.

Detto questo, Sergio Nesi così ricorda l’insorgere delle attività parteggianti: «I comunisti furono i primi ad organizzare i G.A.P. (Gruppi Azione Partigiana), squadre organizzate sul modello del “mordi e fuggi” per colpi di mano con mitra e bombe. Il 13 dicembre [1943. N.d.A.] si ebbe così il primo attentato a Sarzana. Altri gruppi, composti in maggioranza da ex prigionieri o inglesi o slavi (tra i quali i russi) fuggiti da campi di concentramento si assemblarono sugli Appennini tra La Spezia e Parma e tra La Spezia e Genova e Massa Carrara. Sulle alture attorno alla città e alle caserme della Decima si vennero a creare nuclei di resistenza, come ad Arcola e Sant’Anna, ma da essi non fu mai portato un attacco diretto né al Muggiano, né a san Bartolomeo, né al Varignano. Un rischio troppo forte. Erano preferibili altri metodi, utili specialmente per terrorizzare la popolazione: il 23 gennaio 1944 fu inaugurata dalla resistenza la stagione degli attentati. In quel giorno il partigiano gappista Ottorino Schiassolani attaccò eroicamente un tram in città, lanciandovi contro due bombe anticarro da un chilo ciascuna, uccidendo tre marò della Decima, due donne e un bambino e ferendo tutti gli altri passeggeri. Dal Tribunale della attuale Repubblica Italiana il partigiano fu assolto, perché quel massacro fu considerato “atto di guerra”» (Sergio Nesi, Junio Valerio Borghese un Principe un Comandante un Italiano, Editrice Lo Scarabeo, Bologna 2004. p. 291). (2)

Mario Spataro ha scritto a memoria odierna e futura: «Scandalo e ira ha suscitato negli ambienti resistenziali il fatto che da più parti (Marco Pannella, Vittorio Feltri e altri) si siano definiti “terroristi” i gappisti comunisti. Che si tratti invece di una corretta definizione è dimostrato, fra l’altro, dalla motivazione della medaglia di bronzo concessa il 13 marzo 1950 dal presidente del consiglio Alcide De Gasperi al gappista Franco Calamandrei: “Calamandrei Franco… Attaccava con bombe a mano la sede del comando germanico in Roma alloggiato all’albergo Flora. Con azione terroristica, che ebbe larga eco, deprimeva lo spirito nemico… Roma, via Veneto, 19 marzo 1943”» (Mario Spataro, Rappresaglia. Via Rasella e le Ardeatine alla luce del caso Priebke, Edizioni Settimo Sigillo, Europa Libreria Editrice, Roma 1996, p. 223).

Per quanto riguarda l’attentato di Via Rasella commesso a Roma il 23 marzo 1944: «Come reagì, nel suo animo, la popolazione romana? Il disgusto per l’attentato fu unanime. Altrettanto unanime era l’opinione che se i terroristi si fossero presentati la rappresaglia non ci sarebbe stata» (Ibidem, p. 81). (3)

    La difesa del suolo patrio.

Sul medesimo tema del banditismo un altro manifesto, dai caratteri neri su fondo nocciola chiaro (50 x 70 cm), recita:

«Marina da Guerra Naz. Repubblicana / DIVISIONE Xa / comando battaglione “fulmine„ // alle popolazioni di carre’ / chiuppano e caltrano // Il delitto recentemente compiuto in persona del Sergente tommasi Carlo di questo Battaglione è stato pagato con la vita di 5 elementi appartenenti a bande ribelli. Dimostri ciò che la Decima non tollera offese ai propri componenti e quando esse si verificano le ritorce in modo definitivo ed esemplare. / Non da noi, venuti in queste contrade con compiti di addestramento, è partita l’iniziativa per lo spargimento di sangue fraterno. Sono i soliti elementi camuffati da italiani che operano alle spalle di coloro che, a rischio della vita, hanno preferito continuare ad impugnare le armi per la difesa della Patria comune e che continuano a colpire, insidiando fra l’altro la tranquillità di inermi popolazioni. Voi sapete tutti che la Decima non ha dato alcuna molestia alle popolazioni civili con le quali ha stabilito rapporti cordiali come si conviene a truppe italiane che in Patria operano per la difesa di Essa. / È unicamente per cercare di ottenere che si ponga la parola fine agli atti di violenza che disonorano ed umiliano la Patria nostra e che pongono a repentaglio la vita di molti innocenti, che questo Battaglione è stato costretto, come misura precauzionale, a prelevare un certo numero di ostaggi che risponderanno con la propria vita della incolumità di ogni militare in queste contrade. /Ad essi non sarà fatto alcun male se nessun atto di sabotaggio, attentato alla vita o delitti in genere saranno compiuti nella zona a carico di uomini e cose appartenenti alla Divisione X. / È dovere preciso di ogni cittadino prevenire i delitti, contribuendo a smascherare e consegnare alla giustizia punitiva i delinquenti che, operando al soldo di coloro che dall’aria distruggono i vostri focolari ed uccidono indiscrinatamente [indiscriminatamente. N.d.A.] donne e bambini, si macchiano di delitti ben superiori perché provenienti da mano appartenente a individui nati in territorio italiano. // il comandante del battaglione / tenente di vascello f. m. / (orru giuseppe)»

Per concludere questa seconda parte del lavoro dedicato alla Propaganda della Xa Flottiglia M.A.S. si riportano le parole di Luigi del Bono:

«“Perché non ti arruoli?”. Una frazione di secondo. La guerra è perduta. L’onore della Marina italiana deve essere difeso. I miei dubbi, i miei scrupoli, la mia depressione spirituale spariscono. Mi sento sollevato, lo spirito libero come se avessi risolto un pesante problema. Firmo la mia adesione alla X Flottiglia Mas della Repubblica Sociale Italiana. Siamo circa trecento. Vado alle armi quando tutti se ne tornano a casa» (Luigi Del Bono, I giorni del furore. X Flottiglia M.A.S. 1943-45, Editrice Liguria, Savona 1986, p. 18).

      Note  
  1. «(…) male si difende la libertà di un popolo diviso e parteggiante» (Carlo Botta, Storia d’Italia, Tomo Ottavo, Parigi 1832, p. 161).
 
  1. È utile ricordare, ad esempio, quanto definiscono i sotto riportati ed evidenziati articoli n. 25, 27, 28 e 29 della Legge di Guerra del 1938:

«Supplemento ordinario alla “Gazzetta Ufficiale„ n. 211 del 15 settembre 1938-XVI. Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, parte prima, Direzione e redazione presso il Ministero di Grazia e Giustizia. Regio Decreto 8 luglio 1938-XVI, n. 1415. Approvazione dei testi della legge di guerra e della legge di neutralità. allegato a, LEGGE DI GUERRA. titolo ii. Delle operazioni belliche. capo i. Dei belligeranti. Sezione 1a. Dei legittimi belligeranti.

Art. 25. (Legittimi belligeranti).

Sono legittimi belligeranti coloro che appartengono alle forze armate di uno Stato, ivi comprese le milizie e i corpi volontari, che le costituiscono o ne fanno parte. Sono legittimi belligeranti anche gli appartenenti a milizie o corpi volontari diversi da quelli indicati nel comma precedente, purchè operino a favore di uno dei belligeranti, siano sottoposti a un capo per essi responsabile, indossino una uniforme, o siano muniti di un distintivo fisso comune a tutti e riconoscibile a distanza, portino apertamente le armi, e si attengano alle leggi e agli usi della guerra.

Art. 27. (Popolazione dei territori non occupati: leva in massa).

La popolazione di un territorio non occupato che, allo avvicinarsi del nemico, prende spontaneamente le armi per combattere le forze d’invasione, senza aver avuto il tempo di organizzarsi nel modo indicato nell’articolo 25, è considerata come legittimo belligerante, purchè porti apertamente le armi e rispetti le leggi e gli usi della guerra.

Art. 28. (Protezione dei privati).

In quanto la legge non disponga diversamente, i privati che non compiano atti di ostilità, ancorchè si trovino al seguito delle forze armate, delle milizie o dei corpi indicati nell’articolo 25, devono essere protetti per quanto concerne la sicurezza della persona, l’inviolabilità, della proprietà e il godimento e l’esercizio di ogni altro loro diritto.

Art. 29. (Illegittimi belligeranti).

Le persone non considerate legittimi belligeranti a norma degli articoli 25 e 27, che compiono atti di ostilità, sono puniti a termini della legge penale di guerra» (Supplemento ordinario alla “Gazzetta Ufficiale„ n. 211 del 15 settembre 1938-XVI, Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, parte prima, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1938, p. 5).

 
  1. Sul più che controverso “diritto di rappresaglia” vedere utilmente quanto riportato nel sito della Difesa: http://www.difesa.it/Giustizia_Militare/rassegna/Processi/Pagine/Mackensen_Maelzer.aspx
Nel corso della II Guerra Mondiale il “diritto di rappresaglia” è stato applicato da tutti gli eserciti in armi.

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